Noi donne e madri, protagoniste del nuovo
Noi donne e madri dobbiamo diventare protagoniste del nuovo, anche perché stando a contatto più diretto con le nuove generazioni, con la nostra azione facciamo da ponte tra la memoria familiare, che trasmettiamo sia consapevolmente che inconsapevolmente (basti pensare alla lingua “madre” che tramandiamo), ed il nuovo che avanza attraverso i nostri figli. Il ruolo centrale nella famiglia richiama fortemente, dunque, un ruolo centrale della donna nella società e nei processi di progresso che la vedono protagonista. Restituiamo alla donna la centralità del ruolo nella società e risolveremo, almeno in parte, la crisi morale, etica, economica del nostro Paese.
In questo ruolo centrale, ritroviamo la donna in quanto madre. La donna, infatti, vive la maternità come aspetto qualificante del suo essere; è madre perché dialoga con la Vita, la custodisce e la promuove. È chiaro che non si fa riferimento al puro fatto biologico di procreare, ma a quello che potremmo definire “il coraggio dell’amore”, la capacità, cioè, di mettersi in gioco, facendo letteralmente spazio all’altro-da-sé, magari anche rischiando la propria vita, o le proprie certezze, in favore di un’altra creatura.
Spesso, però, la donna è lasciata sola davanti a questo compito vitale, quanto rischioso e faticoso. Nella nostra società, retta dalle miopi regole dell’economia, dove tu vali per la ricchezza che produci nel breve termine e per quanto guadagni, la maternità è vista come un mancato guadagno, un ostacolo, una perdita di tempo e di soldi per lo Stato, per le aziende, per la società.
Riconoscere il valore sociale della maternità, impegnandosi a garantire lo stesso trattamento economico e le stesse opportunità di carriera degli uomini anche alle donne aiuterebbe l’Italia ad uscire dall’inverno demografico che ci sta uccidendo. La Francia, che è oggi il Paese più prolifico d’Europa, garantisce sei mesi di congedo parentale ad entrambi i genitori ed il 40% dei bimbi sotto i due anni trova posto in un servizio per l’infanzia. In Italia hanno provato pure a dimezzare il congedo di paternità da 5 a 2 giorni, mentre dei nidi neanche a parlarne.
Quindi, in Italia, noi donne siamo lasciate sole a dover scegliere tra maternità e carriera, o più semplicemente tra maternità e lavoro, tra maternità e opportunità di crescita e realizzazione, come se ogni nuova vita che viene al mondo fosse una ricchezza per il singolo nucleo familiare o l’appagamento di un desiderio personale, e non piuttosto una ricchezza per la società intera. Secondo i dati forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro relativi al solo 2016, ultimo anno di rilevazione, le donne che si sono licenziate sono state 29.879. Tra le mamme, appena 5.261 sono i passaggi ad altra azienda, mentre tutte le altre (24.618) hanno specificato motivazioni legate alla difficoltà di assistere il bambino (costi elevati e mancanza di nidi) o alla difficoltà di conciliare lavoro e famiglia.
Di fronte a questa solitudine, a questa colpevole indifferenza della società retta da regole non scritte dalle donne e neppure per le donne, le nostre famiglie e la nostra società, si stanno impoverendo sempre più.
Noi donne abbiamo il dovere di riappropriarci della nostra identità più profonda, che ha a che fare con quella che gli esperti di risorse umane chiamano Soft Skills, che sono le qualità trasversali, cioè il senso della comunicazione, flessibilità e adattabilità, il senso del collettivo, creatività e senso dell’iniziativa, tutte qualità che hanno a che fare con l’esperienza della maternità.
È chiaro che noi donne per prime dobbiamo rivedere alcune scale di valori, visto che non solo il doppio lavoro di cui noi ci facciamo carico dentro e fuori casa non viene riconosciuto, ma, in nome di una parità di genere intesa con disonestà intellettuale, il mondo del lavoro si ostina a non voler vedere e riconoscere il prezioso lavoro che la donna svolge in casa e nella famiglia.
Oltretutto, noi che rappresentiamo anche più della metà dell’elettorato, possiamo chiedere che nell’agenda politica si inizi a discutere di strategie per combattere il gap di genere nel mondo del lavoro; possiamo pretendere che chi governa si decida ad avviare politiche strutturali che favoriscano le lavoratrici madri, o le lavoratrici che vorrebbero essere anche madri, e superi una buona volta le politiche assistenziali fatte di bonus e incentivi. Le donne non voglio essere assistite, ma vogliono poter godere degli stessi trattamenti economici e delle stesse opportunità di lavoro e di carriera degli uomini. E vogliono poter esercitare la propria professione senza dover rinunciare ad essere madri, accompagnate in questo percorso da padri responsabili.
Ricuperiamo in noi la forza che ci viene dalla nostra identità, non lasciamo che siano “altri” a dirci chi dobbiamo essere, cosa dobbiamo desiderare, come dobbiamo apparire. Convinciamoci noi per prime del nostro peso sociale creando delle reti di solidarietà culturale e sociale superando la logica dell’individualismo. In una parola, dedicando più tempo ed energie alla promozione della diversità come valore assoluto, valorizziamo il contributo della donna ad una società che ha bisogno di credere nel futuro.